Lavori infiniti, operai sfruttati; quante ombre dietro quei cantieri

 

Da anni il Nord insegue il sogno di collegamenti più veloci. A caro prezzo

 

Di Paolo Berizzi e Davide Carlucci da Repubblica del 29/3/08 – pag. 22

 

MILANO—Torino in mezz'ora o al massimo in un'ora. È il grande sogno che sta dietro le due infrastrutture, alta velo­cità e raddoppio autostradale, al servizio di una domanda sempre crescente di pendola­rismo tra le due capitali del Nord-ovest. I due lati dello sto­rico triangolo industriale. Il terzo sarebbe Genova, oggi a due ore da Milano, con la Tav quaranta minuti. Ma tutto è sospeso da ottobre: l'Unione eu­ropea non considera più stra­tegico il collegamento con Mi­lano, il governo ha deciso di non finanziare più l'opera e il contratto è stato revocato: ora l’Impregilo, che aveva vinto l'appalto, si prepara a chiedere un maxirisarcimento. «I can­tieri erano già pronti, c'erano settanta lavoratori pronti a mettersi all'opera — ricorda Ferdinando Lioi, segretario provinciale milanese della Feneal, l'organizzazione degli edili della Uil — e lì avremmo riversato tutta la manodopera impiegata sulla Milano-Tori­no. Ora stanno per andare tut­ti —sono 1600— in disoccupa­zione speciale». I primi qua­ranta sono già a casa dal primo marzo.

 

Epilogo inglorioso di una storia di cantieri che si aprono e non si chiudono mai, dove i costi lievitano e il tessuto im­prenditoriale diventa permea­bile alle infiltrazioni. Certo, non siamo ai ritmi elefantiaci della Salerno-Reggio Calabria, Lì le 'ndrine hanno lucrato gra­zie alle lungaggini legate agli incrementi di previsioni di spesa. Al Nord si è partiti lenti ma alla fine si costruito in fret­ta: 44 mesi il tempo record di realizzazione della Tav Torino-Novara. Meno veloci i ritmi di avanzamento nel raddoppio della A4. Sulle due infrastruttu­re si estende una ragnatela di piccole imprese, con meno di 20 dipendenti, "allacciate" alle imprese appaltate e che hanno superato (almeno queste ulti­me) i raggi x della certificazio­ne antimafia. Microimprese che importano manodopera in grandi quantità dal Sud ma non solo. L'ultima trovata dei piccoli costruttori per abbas­sare i costi è il distaccamento dei lavoratori stranieri. Operai che lavorano per imprese este­re (soprattutto moldave ma anche rumene) il cui titolare è però italiano. Le squadre di la­voratori arrivano in Italia e, grazie al testo unico sull'immigrazione, si fermano qui con un permes­so temporaneo fino alla chiu­sura del cantiere. Prendono 3 o 4 euro all'ora, questi manovali; non in nero, in busta paga re­golare perché la legge accon­sente. E’ sfruttamento legaliz­zato, che permette alle impre­se di abbattere i costi e vincere nelle gare d'appalto che sono sempre più al ribasso. Dagli elementi in mano alle Procure risulta anche questo: il potere di vincere la concorrenza da parte delle imprese, collegate o no ai clan, sta anche nella ca­pacita di rivolgersi alle ditte che utilizzano il sistema del di­staccamento degli operai stra­nieri.

 

«Abbiamo più volte presentato le nostre denunce sul caporalato che recluta gli immi­grati — racconta Lioi — qual­che mese dopo sotto la nostra sede, a Milano, è stato esploso un ordigno. Questo la dice lun­ga sui metodi che vengono usa­ti da questi signori dello sfrut­tamento. Figurarsi quello che combinano con gli operai».